Il prossimo mese si ripropone un nuovo episodio della storia delle elezioni nel ns territorio. Stavolta si sarà chiamati a decidere chi governerà la Regione Lazio
Votare? Per chi votare? Queste le prime due domande che ci si può fare davanti ad una situazione di democrazia limitata che è quella delle elezioni regionali, volutamente distanti dagli interessi dei territori, pur riguardando servizi pubblici, lavoro, salute, istruzione.
Escludendo per motivi immaginabili la maggioranza dei candidati e delle loro formazioni, non rimane che riflettere sull’unico candidato che proviene dalla “storia” degli ultimi partiti di opposizione presenti a livello nazionale e locale. Rosa Rinaldi è la candidata che rappresenta meno lontanamente le posizioni della massa confusa del popolo che si rifà a orizzonti comunisti, ma che va ramengo da tempo.
Pur lodando lo sforzo del manipolo dei compagni che tenta di portare rappresentanza presso le istituzioni, Unione Popolare indica una candidata che ci fa rimembrare il passato del PRC, in almeno due elementi: uno di schieramento, l’altra di sviluppo del partito.
Rosa Rinaldi fa parte dell’affondamento del PRC con Bertinotti alla Camera e Ferrero al Welfare, la cui scelta appunto di far parte compiuta del governo di allora segnò praticamente la fine del PRC come partecipazione elettorale e come soggetto di critica e opposizione alle scelte neoliberiste.
Il PRC usciva dall’esperienza di Genova con un tentativo di riorganizzazione politica e un orizzonte di ridefinizione di elementi, tra gli altri, della cultura politica sviluppista e produttivista della storia del PCI. Tale tentativo verrà prima accolto con una forte spinta dei giovani “noglobal”, ma poi respinto nell’inverno 2002 dalla reazione dei notabili che credevano di vedere aumentata la distanza che li separava dal cadere su qualche poltrona di parlamentare o consigliere o altro, con l’avvicinarsi al partito di una nuova partecipazione giovanile. Fu l’annuncio della morte del PRC.
Formalmente, purtroppo, il partito non è mai scomparso, ha rappresentato anzi un ostacolo per la riorganizzazione di un soggetto politico: gli iscritti scemavano, le sedi hanno chiuso, l’ideologia era dissolta, ma alcuni personaggi, in primis il segretario ad esempio, non mancavano di zavorrare una evoluzione possibile. Di concerto tante altre organizzazioni, per prime quelle del sindacalismo di base, preferivano il consolidamento economico all’azione politica e il conflitto spesso si dirigeva verso le altre organizzazioni di base piuttosto che contro il padrone, cassando il dibattito e il ricambio della classe dirigente.
Solo anni dopo una fronda di sinistra, rivelatasi razionalista/occidentalista/borghese, dava alla vita Potere al Popolo che in men che non si dica spegneva gli ardenti spiriti di una possibile nuova formazione politica, forse per aver voluto sostituire la partecipazione reale a quelle virtuale, senza concentrarsi sulle istanze delle classi sociali presenti sui territori.
Oggi UP rappresenta entrambi gli schieramenti con l’aggiunta dell’uomo solo De Magistris. Un tentativo di formazione politica che si definisce tale solo nei momenti elettorali. Prima e dopo il nulla. Per “nulla” si intende la costruzione di una organizzazione politica, il coinvolgimento dei compagni e delle compagne, il confronto con i soggetti attivi sui territori, il consolidamento e riconoscimento di una reale classe dirigente nazionale e territoriale, l’impegno per comunicazione puntuale e anche locale…
Quale autocritica sul quindicennio passato senza organizzazioni di riferimenti, senza mediazioni politiche e culturali che riuscivano a decifrare l’orizzonte comune, senza rappresentanti nelle assisi politiche? Nessuna. Quale proposta sulla costruzione del soggetto politico? Quali passi da fare nei territori? Nessuna. Quale livello di partecipazione di militanza viene oggi richiesto per la costruzione di un orizzonte di lotta contro la società neoliberista, consumista, alienante? Nessuna.
“Meglio noi che altri”. E’ l’unico slogan presente. Indubbiamente lo seguiremo. Non ci arrocchiamo su posizioni intransigenti. Ma ancora una volta avremo rimandato il momento del confronto, del coinvolgimento, della costruzione di una idea che a chiacchiere è per tutti chiara, ma che nella realtà evidentemente non è condivisa, forse perché non compresa.
In questa povertà di proposte, di memoria, di analisi di economia politica, ci si trascinerà al seggio forse per non far morire flebili ricordi piuttosto che rinsaldare evidenti orizzonti. Tant’è. C’è rimasto colpevolmente solo questo.