Bancaditalia: rent to buy…. cut the welfare

La vicenda del tentativo di acquisto della Banca d’Italia pone nuovamente il problema di come il “buon padre famiglia” gestisce la finanza pubblica e, soprattutto, con le risorse di chi?

La formula sarebbe quella del rent to buy : cioè si pagano più di €.12.000,00 al mese per 10 anni per un totale annuo di €.153.000,00. Per fare un paragone: l’attività museale rivolta al pubblico e alle scuole costa per un anno meno di €.12.000,00. Quindi potremo chiudere le attività museali per i prossimi 120 anni!

Nell’ambito strettamente immobiliare, l’affitto è come minimo al doppio del prezzo di mercato. Fra 10 anni si dovrà decidere cosa fare, se riscattare o se lasciare. Nel frattempo, sarebbe scritto sul contratto che sembra i consiglieri nel momento del voto non avessero tra le mani, bisognerà reperire alcune risorse finanziarie con “la vendita o la messa a rendita dei beni di proprietà comunale liberati dal trasferimento nella nuova sede”.

Se la traccia è quella seguita per l’alienazione dell’edificio storico di via del Carbonaro o l’ex asilo di via Sellari, allora l’immobile che adesso ospita il consiglio comunale lo potremmo vendere nel migliore dei casi  tra €10 e 20 mila.

Proprio queste due ultime alienazioni ci fanno pensare a due pesi e due misure in merito alla ‘bilancia dei pagamenti’. Si acquisterebbe un immobile di ca. mq 2500 (di cui si hanno dubbi sull’effettiva superficie utilizzabile) a €.2 milioni, mentre pochi mesi fa si sono alienati sempre a Frosinone alta: via del Carbonaro (350 mq) a €.63 mila; e via Sellari (2000 mq) ad €.300 mila (base d’asta abbassata nell’arco di 6 anni da €.1,2 milioni a €.110 mila!). Dunque si vende a 1 e si compra a 5!  Perché la Banca d’Italia non ha perso valore immobiliare in questi anni?

L’acquisto di cui i cittadini si stanno facendo carico riporta d’attualità la massa debitoria che il Comune di Frosinone si è impegnato  a pagare con la procedura di riequilibrio finanziario pluriennale (PRFP) e che consta di €.14,6 milioni e che si concluderà nel 2022. Ad oggi si è restituito solo 1/3.

Ma i cittadini stanno pagando ca €.1 milione l’anno per 30 anni fino al 2045 anche il per il disavanzo di 27 milioni che l’Amministrazione avrebbe ‘trovato’ nel 2015. In merito, la Corte Costituzionale ha sentenziato un anno fa (sentenza n.18/2019):

  • L’art. 1, comma 714, della legge n. 208 del 2015, come sostituito dall’art. 1, comma 434, della legge n. 232 del 2016, consente all’ente locale, che alla data di presentazione o approvazione del piano di riequilibrio non abbia ancora provveduto a effettuare il riaccertamento straordinario dei residui attivi e passivi ai sensi dell’art. 3, comma 7, del d.lgs. n. 118 del 2011, di modificare il piano sotto il profilo temporale e quantitativo, scorporando la quota di disavanzo risultante dalla revisione straordinaria dei residui di cui all’art. 243-bis, comma 8, lettera e), del d.lgs. n. 267 del 2000 e ripianando la stessa nell’arco di trenta anni.
  • Afferma la Corte: Tale interpretazione costituzionalmente orientata in ragione dell’incontrovertibile dato testuale, violerebbe gli artt. 81 e 97 Cost., autonomamente e «in combinato disposto» con gli artt. 1, 2, 3 e 41 Cost., in quanto, in assenza di una valida ragione giustificatrice, prevederebbe una misura di salvaguardia dell’equilibrio di bilancio destinata a dipanarsi in un arco temporale dilatato ben oltre il ciclo triennale di bilancio, così ampliando la capacità di spesa dell’ente in condizioni di conclamato squilibrio.
  • In tal modo, inoltre, la disciplina in questione: a) sottrarrebbe gli amministratori locali al vaglio della loro responsabilità politica nei confronti dell’elettorato; b) non assolverebbe il dovere di solidarietà nei confronti delle generazioni future, su cui lo squilibrio non tempestivamente risanato sarebbe destinato a riverberarsi in ragione del principio di continuità dei bilanci; c) non consentirebbe di supportare con risorse effettive le politiche volte a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini; d) pregiudicherebbe il tempestivo adempimento degli impegni assunti nei confronti delle imprese, potenzialmente determinandone la crisi.
  • La disposizione censurata allungherebbe, in modo assolutamente anomalo, i tempi di rientro, ledendo una serie di principi consustanziali alla sana gestione finanziaria. Così, l’equilibrio del bilancio sarebbe alterato per l’intero trentennio, durante il quale sarebbero consentite spese correnti oltre la dimensione delle risorse di parte corrente; sarebbero violate le regole inerenti all’indebitamento che, per finanziare la permanenza in deficit trentennale, graverebbero in modo ingiusto e illogico sulle generazioni future; sarebbe leso in modo irreparabile il principio di rappresentanza democratica, perché la responsabilità degli amministratori che hanno provocato il deficit sarebbe stemperata per un lunghissimo arco generazionale, in modo da determinare una sorta di oblio e di immunità a favore dei responsabili.
  • In linea teorica (ma mica tanto!) dopo l’approvazione del piano di riequilibrio, qualsiasi comune potrebbe, da un lato, ridurre in via unilaterale la dimensione degli accantonamenti finalizzati al rientro del deficit e, dall’altro, si assoggetta a un nuovo accertamento di debiti fuori bilancio. L’effetto congiunto dei due fenomeni contabili sarebbe quello di allargare, anziché ridurre, il disavanzo e di rendere praticamente impossibile l’attuazione del piano senza una manovra correttiva idonea a riportare in simmetria le risorse di parte corrente e la correlata spesa. La norma censurata consentirebbe tuttavia al suddetto ente locale di evitare tale manovra correttiva.
  • Quella censurata consentirebbe in modo irragionevole e contraddittorio di mantenere inalterato il piano di pagamento dei creditori e di fruire di un allargamento della spesa corrente fino al limite temporale dei trenta anni, in misura pari al minore accantonamento conseguente alla dilazione trentennale.

Insomma il disavanzo proiettato in un piano di rientro trentennale non è costituzionale, perché, a titolo esemplificativo, l’ente avrebbe possibilità di disporre per trenta anni del mancato accantonamento derivante dalla norma impugnata per ripianare il disavanzo, implementando in pari misura la spesa corrente durante detto periodo, in cui permane il disavanzo stesso. La Corte suggerisce al legislatore una compressione più breve che non deve superare i 10 anni. Questa allertante sentenza segnala all’Amministrazione comunale di attrezzarsi per un ripiano più breve e quindi inevitabilmente più oneroso.

Cosa si fa invece? Si continua a sperperare risorse su atti amministrativi non ordinari e acquisti assolutamente non necessari, anzi deleteri per un soggetto indebitato fino al collo. I drastici tagli al welfare, ai servizi, ai salari, alla cultura, allo sport sono sotto gli occhi di tutti, e sono destinati a continuare.

Ricordiamo le misure draconiane adottate in seguito al piano di riequilibrio (PRFP):

  • Rideterminazione della pianta organica, con conseguente blocco delle assunzioni
  • alienazione dell’ex MTC civile (ancora in alto mare)
  • riduzione delle indennità di funzione di assetto organizzativo generale dell’ente
  • riesame e verifica dei presupposti per il mantenimento delle partecipazioni azionarie (leggasi fine della Frosinone Multiservizi e regalo alle cooperative locali con precarizzazione del lavoro)
  • incremento delle tariffe dei servizi a domanda individuale (leggasi dimezzamento dell’accesso alle mense scolastiche, ai trasporti, ecc.)
  • IMU Ie aliquote sono state incrementate del 50% per l’abitazione principale e Ie relative pertinenze aumentandole dallo 0,4 per cento allo 0,6%, mentre I’aliquota base era già prevista nella misura massima dell’ 1,06%;
  • Ie tariffe Tares (oggi TARI) a copertura totale del costo del servizio, alla faccia se esso sia svolto correttamente o meno (vedi alla voce corruzione);
  • L’addizionale IRPEF alla misura massima consentita dello 0,8%
  • riduzione della spesa dei servizi a domanda individuale (taglio dei trasporti, asili ecc.)
  • riduzione della spesa per il personale (ma non per i dirigenti e p.o.);
  • riduzione delle spese per servizi e trasferimenti;
  • riduzione della spesa per prestazioni in servizio e trasferimenti sociali (nonostante la raddoppiata domanda)
  • riduzione del 25 della consistenza dei debiti accertati o riconosciuti (si “chiede” ai creditori una stretta del loro credito del 25%!)

«Immobile di pregio. Primo passo per il recupero del centro storico». Indubbiamente le due affermazioni fanno effetto. Sicuramente è bello abitare in una casa nobile, ma di tutte le altre sedi comunali che se ne fa? L’ex MTC è da tempo inutilmente sul mercato. Il palazzo del Nestor, completamente di proprietà dell’ente acquistato nella consiliatura Marzi, è vuoto almeno per metà. La sede attuale della sala consiliare e dell’ufficio del ‘caudillo’ non sarà il massimo, ma ha retto all’urto di consigli partecipati (pochi); se poi la si abbandona non prevedendo alcuna manutenzione, queste sono scelte di propaganda politica più che per ragioni tecniche. Si potrebbe fare un elenco dei tanti locali comunali vuoti a cominciare dalle sedi circoscrizionali.

Va tutta la solidarietà ai cittadini Daniele Riggi e Fabiana Scasseddu che non hanno piegato la testa all’ennesima propaganda a debito di questa amministrazione ma che coerentemente sotto il profilo storico, economico e giuridico hanno tenuto ben presente il momento che vive la città e i cittadini. Si decide di ripianare i debiti con il predissesto e poi si spende e spande senza ritegno, costretti inevitabilmente a tagliare sul lato sociale. Il loro voto appare più importante di quanto sembri poiché segnala che eventuali squilibri strutturali finiscano per sommarsi nel tempo producendo l’inevitabile dissesto, e non avallando dal punto di vista politico quel criterio, adottato in troppi casi a Frosinone, di sobbarcarsi di un impegno finanziariamente oneroso e indefinito per i successori e i futuri amministrati.

L’appuntamento è per il 12 marzo quando associazioni, consiglieri e partiti si ritroveranno a discutere del bilancio, del debito e del futuro della città.

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